La pedagogia della musica

La pedagogia è la disciplina umanistica che studia l’educazione e la formazione dell’essere umano nella sua interezza ovvero lungo il suo intero ciclo di vita. Si occupa dei diversi approcci educativi che coinvolgono l’uomo e la donna nei diversi momenti e situazioni dello sviluppo; non solo quindi l’età infantile ma anche l’adolescenza, l’età adulta, la vecchiaia (o terza età), la condizione di disabilità e i bisogni educativi speciali. Insieme alle altre scienze umane, la pedagogia si rivolge, dunque, ai contesti formali, non-formali e informali, nei quali si ambienta il processo di formazione della persona. La pedagogia musicale studia gli aspetti pedagogici della musica. Si occupa del sapere trasformativo, educativo, narrativo e sociale della musica all’interno dei processi di apprendimento e di costruzione di sé. Maurizio Spaccazocchi definisce la musica “un territorio per la manifestazione e la realizzazione dei bisogni umani”. Gli aspetti determinanti della pedagogia rispetto all’apprendimento sono i concetti di “relazione” e di “identità”, rispetto ai bisogni e alle aspettative personali e di gruppo. Nella relazione che si instaura tra educatore e singoli o gruppo, il discente ha un ruolo centrale, dove affetti ed emozioni giocano un ruolo fondamentale. L’obiettivo della pedagogia musicale, infatti, non risiede nell’imparare la musica, ma nel saper usare le conoscenze e competenze acquisite per attivare una relazione sempre più positiva con gli altri e con la realtà che ci circonda. C’è differenza tra INSEGNARE, che presuppone un rapporto di gerarchia tra chi detiene il sapere e tra il ricevitore passivo, ed EDUCARE, dove si riconosce di una esperienza e di un sapere che l’educatore deve saper individuare, estrapolare e valorizzare nel giovane. Anche rispetto alla relazione, nell’insegnare si presuppone un rapporto umano disciplinato e formale, mentre nell’educare vi è un rapporto più dialogico, più naturale e umano. Si deduce che l’obiettivo primario della pedagogia non è il trasferimento del sapere bensì nella formazione culturale, sociale e umana che renda gli individui capaci di assumere ruoli attivi e responsabili nella società attraverso l’acquisizione di competenze del sapere, saper fare e saper essere.

Bambini ribelli o solo incompresi ?

Noi genitori, davanti ai capricci dei nostri figli, tendiamo a cadere in sentimenti di rabbia e frustrazione, che porta inevitabilmente allo scontro. Vorremmo che il capriccio finisse e all’istante, ma non ci soffermiamo al motivo intrinseco del suo momento di ribellione. Magari non vuole venire a tavola, o non vuole lavarsi, oppure al supermercato prenderebbe tutto ciò che gli passa per la testa, senza esclusione di colpi. E noi genitori come reagiamo? Tutto questo ci indispone, perché non sappiamo come gestirli, e allora via alle sgridate, condite magari da urla intimidatorie. Questo perché non riusciamo a comprendere il motivo del capriccio, e ci convinciamo che sia un comportamento egocentrico ed isterico. In verità è la manifestazione di un bisogno profondo che ha il bambino in quel momento. Fermarsi un attimo, interrompendo l’idea che è solo un capriccio ma provando a pensare che forse è un richiamo alla tua attenzione, ad un tempo di qualità in qui giocare insieme, ad una paura che non sa esprimere o un momento di tristezza che non riesce a decifrare o ad una difficoltà che necessita del tuo sostegno ma che non verbalizza con le parole. La rabbia del genitore che si scatena in sgridata pone il bambino ad una sfiducia verso sé stesso e verso il genitore in collera, deducendo di essere sbagliato e magari “cattivo”. La realtà è che gli adulti reagiscono quando insorge la frustrazione del non essere riusciti a farsi ascoltare, che ha rovinato i piani preposti e che non obbedirà mai alle regole. E’ un meccanismo biologico quello che ci porta spesso verso i comportamenti aggressivi. Il nostro cervello infatti si attiva quando è sollecitato da emozioni di fatica, e per difesa rilascia gli ormoni dello stress (cortisolo, adrenalina). Le informazioni vengono spedite da cervello all’amigdala, che ha lo scopo di creare risposte per contrastare i pericoli, come lo è un eccesso di stress; a quel punto l’amigdala sospende ogni connessione con la neurocorteccia, che invece è la parte razionale, in cui vengono elaborate le scelte. Ma c’è un momento in cui noi possiamo intervenire nel gestire la rabbia, attraverso l’uso della ragione, abbassando il livello di cortisolo e ritrovando la calma. La reazione del genitore arrabbiato non fa altro che spaventare il bambino, il quale, non comprendendo lo stato d’animo dell’adulto, aumenta il comportamento oppositivo perché sente piena sfiducia in sé stesso e nei confronti del genitore, rafforzando l’idea di essere sbagliato e minacciando così la sua autostima. Diventa un vero e proprio gioco di potenze dove vince il più forte, un circolo vizioso che può essere spezzato solo con l’empatia, la comprensione e attivando l’ironia. Ridere ad esempio può essere un’ottima strategia nei momenti in cui sentiamo montare la rabbia. Introdurre l’ironia in un momento di tensione spiazza completamente il bambino perché inaspettato, il quale non può che rispondere con un sorriso o magari con una grande risata. “Il bambino, bisogna farlo ridere. È più importante farlo ridere che rivelargli chissà quali misteri. Il dialogo è ridere insieme. Il riso è la cosa in più, il dono inatteso, l’al di là della protezione e della sicurezza. Ridete con lui, è vostro per la vita (…)” (G. Rodari). Le neuroscienze confermano che ridere stimola le endorfine, gli ormoni della gioia, facendo calare lo stress e aiutando nella relazione positiva. Spezzare il momento di rabbia con una risata, una battuta, attraverso un gioco simpatico, inventando magari personaggi con voci buffe, scatenare il solletico, … Dai spazio alla tua creatività! Questo permetterà di sdrammatizzare suscitando emozioni piacevoli e risolvere la tensione in allegria. Certo non è sempre facile, perché quando siamo sotto pressione il cervello tende a suggerirci comportamenti conosciuti che spesso sono negativi. Quindi ricordiamoci di adottare il divertimento e il gioco come strategie, magari ponendo in giro per la casa dei post-it promemoria della risata 😀

Educare l’educazione

Il termine EDUCARE deriva dal latino e vuol dire “tirar fuori”, “condurre”. E’ chiaro come questi significati indichino un aspetto più profondo rispetto alla conoscenza e al comportamento. Non si intende quindi “istruire” o “insegnare”, termini che riportano ad una metodologia più trasmissiva, bensì all’estrapolare e al potenziare competenze e qualità inespresse dei nostri figli, dei nostri allievi, di tutti i bambini, adolescenti ma anche adulti in una formazione continua.

Educare è promuovere i diritti umani, l’uguaglianza e la giustizia sociale, il rispetto della diversità, della solidarietà e della responsabilità condivisa. Il diritto all’educazione è fondamentale per lo sviluppo umano, della personalità, del corpo e della mente, ma soprattutto dello sviluppo emotivo ed affettivo.

Ognuno di noi è educatore attraverso ciò che dice e ciò che fa, ricordandoci però che nessuno tabula rasa, nemmeno alla nascita. E’ fondamentale tenere ben presente le attitudini, i valori, le competenze e le esperienze di ogni individuo, mettendoci a disposizione della sua personalità affinché si possa esprimere in tutta la sua unicità.